La torta da spartire – Articolo21

Questo pezzo della vicenda processuale di Gianni Floro Vito fa parte del capitolo vergognoso delle infiltrazioni mafiose nelle attività del post terremoto. Vergognoso non tanto perché i mafiosi si comportano da mafiosi, ma proprio perché tanti pezzi della società cosiddetta civile mostrano di non avere particolari scrupoli a confrontarsi con loro per trarne benefici.

La catena dell’arricchimento illecito raccontata in Aemilia è tutto sommato semplice. Gianni Floro Vito (e Michele Bolognino e altri…) fornisce la mano d’opera alle società di costruzione; le società pagano in cambio false fatture emesse dalla cosca (ai lavoratori la Bianchini consegna solo false buste paga ma non i soldi); il ricavo della cosca, dopo gli opportuni passaggi di mano (per far perdere le tracce), viene depositato su conti correnti bancari e postali (in questo caso a Posta Impresa di Reggio Emilia grazie alle relazioni di amicizia tra la direttrice Loretta Medici e lo stesso Floro Vito); il contante prelevato infine dai conti correnti viene in parte usato per pagare i lavoratori in nero mentre il resto rappresenta la “torta da spartire”. Tutti ci guadagnano, solo i lavoratori ci rimettono. Perché la piccola fetta che viene loro data è spogliata dei soldi della cassa edile, dei buoni pasto, di false visite mediche, del riposo settimanale, della nafta per i camion usati nei cantieri, dell’indennità di mancato preavviso. E chi si lamenta viene licenziato o minacciato.

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